Se dovessi dare una descrizione sintetica di quello che feci nella mia ricerca sul campo direi che lo stregone indiano Yaqui, don Juan Matus, mi trasmise l'universo conoscitivo degli sciamani dell'antico Messico che chiamava cognizione. Con questo termine si intendono i processi che governano la consapevolezza della vita di tutti i giorni, processi che comprendono la memoria, l'esperienza, la percezione e l'uso competente di qualsivoglia sintassi.
All'epoca, il concetto di cognizione rappresentava l'ostacolo maggiore. Per un occidentale istruito come me era inconcepibile pensare che la cognizione, quale è definita nella speculazione filosofica moderna, fosse qualcosa di diverso da un processo omogeneo e onnicomprensivo, valido per tutta l'umanità.
L'uomo occidentale è disposto ad ammettere differenze culturali che spieghino modi curiosi di descrivere i fenomeni, ma le differenze culturali non potrebbero mai giustificare l'esistenza di processi legati alla memoria, all'esperienza, alla percezione e all'uso competente della lingua diversi da quelli che conosciamo.
In altre parole, per l'uomo occidentale esiste la cognizione solo come insieme di processi generali.
Per gli stregoni della stirpe di don Juan, invece, c'è la cognizione dell'uomo moderno e la cognizione degli sciamani dell'antico Messico.
Per don Juan si trattava di interi universi di vita quotidiana intrinsecamente diversi l'uno dall'altro.
A un certo punto, a mia insaputa, il mio compito passò misteriosamente dalla semplice raccolta di dati antropologici all'interiorizzazione dei nuovi processi cognitivi del mondo sciamanico.
Un'interiorizzazione genuina di questi assunti implica una trasformazione, un rapporto diverso con il mondo di tutti i giorni.
Gli sciamani scoprirono che l' impulso iniziale per questa trasformazione è sempre una forma di devozione intellettuale a qualcosa che sembra un semplice concetto ma, inaspettatamente, presenta potenti correnti sotterranee.
Le parole di don Juan spiegano meglio questo cambiamento: «Il mondo di tutti i giorni non può più essere considerato qualcosa di personale, che esercita un potere su di noi, che può crearci o distruggerci, perché il campo di battaglia dell'uomo non è la lotta con il mondo circostante.
Il suo campo di battaglia si trova al di là dell'orizzonte, in una regione inimmaginabile per la maggior parte degli uomini, una regione dove l'uomo cessa di essere uomo».
Don Juan spiegò queste affermazioni dicendo che, dal punto di vista energetico, era indispensabile che gli uomini iniziassero a comprendere che l'unica cosa che conta è il loro incontro con l’infinito. Non riuscì a fornire una descrizione più semplice del termine infinito. Disse che era energeticamente irriducibile. Non si poteva ricorrere a una metafora per spiegarlo, né si poteva farvi riferimento se non con termini vaghi come infinito, «lo infinito».
In quel momento avrei anche potuto credere che don Juan mi stesse dando solo un'intrigante descrizione intellettuale; stava descrivendo ciò che chiamava un fatto energetico.
Per lui i fatti energetici erano le conclusioni alle quali egli stesso e gli altri sciamani della sua stirpe erano giunti quando avevano acquisito una funzione che chiamavano vedere: l'atto di percepire direttamente l'energia che fluisce nell'universo. Questa capacità è uno dei punti culminanti dello sciamanesimo.
A sentire don Juan Matus, il compito di farmi entrare nell'universo conoscitivo degli sciamani dell'antico Messico fu svolto in modo tradizionale: fece con me quello che era stato fatto con qualsiasi iniziato allo sciamanesimo nel corso dei secoli.
L'interiorizzazione dei processi di un sistema cognitivo diverso iniziava sempre focalizzando l'attenzione degli iniziati sulla presa di coscienza della nostra condizione di esseri avviati verso la morte.
Don Juan e gli altri sciamani della sua stirpe erano convinti che la piena consapevolezza di questo fatto energetico, di questa verità irriducibile, avrebbe portato all'accettazione della nuova cognizione.
Il risultato finale che gli sciamani come don Juan volevano far raggiungere ai loro discepoli era una consapevolezza che, proprio per la sua semplicità, è molto difficile da ottenere: la consapevolezza che siamo esseri destinati a morire.
Di conseguenza, la vera battaglia dell'uomo non è quella che combatte con i suoi simili, ma con l’infinito, e non si può neppure parlare di una battaglia; si tratta, sostanzialmente, di un'accettazione.
Dobbiamo accettare volontariamente l'infinito.
Nella descrizione degli stregoni, le nostre vite hanno origine nell'infinito e terminano dove hanno avuto origine: nell'infinito.
Gran parte dei processi che ho descritto nei miei libri hanno a che fare con il naturale scambio di idee a cui partecipavo come essere sociale sotto l'impatto dei nuovi assunti. Nel contesto del mio lavoro antropologico sul campo stava accadendo qualcosa di più pressante che un semplice invito a interiorizzare i processi della nuova cognizione sciamanica; si trattava piuttosto di una pretesa.
Dopo anni di lotta per mantenere intatti i confini della mia persona, quei confini cedettero. Alla luce di ciò che don Juan e gli sciamani della sua stirpe volevano fare, combattere per conservarli sarebbe stata un'azione inutile.
Si trattò, tuttavia, di un atto importante alla luce delle mie esigenze, che equivalevano a quelle di qualsiasi persona civilizzata: preservare i confini del mondo conosciuto.
Don Juan mi spiegò che il fatto energetico, fondamento del sistema cognitivo degli sciamani dell'antico Messico, era che ogni sfumatura del cosmo è un'espressione di energia. Grazie alla loro facoltà di vedere l'energia direttamente, gli sciamani scoprirono il fatto energetico che l'intero universo è composto da una coppia di forze, opposte e complementari al tempo stesso, che chiamarono energia animata ed energia inanimata.
Essi videro che l'energia inanimata non ha consapevolezza. La consapevolezza, per gli sciamani, è una condizione vibratoria dell'energia animata. Don Juan sosteneva che gli sciamani dell'antico Messico erano stati i primi a vedere che tutti gli organismi della Terra possiedono energia vibratoria.
Li chiamarono esseri organici e videro che è l'organismo stesso a determinare la coesione e i limiti di questa energia. Videro anche che ci sono agglomerati di energia animata, vibratoria, che possiedono una propria coesione, indipendente dai legami di un organismo.
Li chiamarono esseri inorganici e li descrissero come masse di energia coesa che risultano invisibili all'occhio umano: un'energia che è consapevole di se stessa e possiede un'unità determinata da una forza aggregante diversa dalla forza aggregante di un organismo.
Gli sciamani della stirpe di don Juan videro che la condizione essenziale dell'energia animata, organica o inorganica, è quella di trasformare l'energia dell'universo nel suo complesso in dati sensoriali. Nel caso degli esseri organici, questi dati sensoriali si trasformano quindi in un sistema di interpretazione nel quale l'energia viene classificata, e a ogni classificazione, qualunque essa sia, viene assegnata una determinata reazione.
Gli stregoni affermano che, nel regno degli esseri inorganici, i dati sensoriali in cui l'energia viene trasformata dagli esseri inorganici deve essere per definizione interpretata da loro, anche se dovessero farlo in modo pressoché incomprensibile.
Secondo la logica degli sciamani, nel caso degli esseri umani, il sistema di interpretazione dei dati sensoriali è la loro cognizione. Essi sostengono che la cognizione umana può essere temporaneamente interrotta, dal momento che si tratta semplicemente di un sistema tassonomico, nel quale le reazioni sono state classificate insieme all'interpretazione dei dati sensoriali.
Gli stregoni sostengono che, quando avviene questa interruzione, l'energia che fluisce nell'universo può essere percepita direttamente. Essi affermano che percepire direttamente l'energia è come vederla con gli occhi, anche se gli occhi sono coinvolti solo in parte.
fine prima parte
tratto dall'Introduzione di Carlos Castaneda al libro A scuola dallo Stregone
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