Condizionamento di Jiddu Krishnamurti

Condizionamento di Jiddu Krishnamurti

Era molto compreso nel suo modo: aiutare l’umanità e compiere opere buone. Oltre a essere molto attivo in numerose organizzazioni umanitarie e di assistenza sociale, affermava anche di non essersi mai concesso una lunga vacanza, e che sin dai tempi della sua laurea non aveva fatto altro che adoperarsi con costante impegno per migliorare la vita dei meno fortunati: naturalmente, non percepiva alcun compenso per il lavoro che svolgeva, e che era sempre stato di estrema importanza per lui; era infatti molto attaccato a ciò che faceva: era riuscito a diventare un operatore sociale di grande prestigio, e ne era assai orgoglioso. Ma durante una conversazione aveva sentito qualcosa sulle diverse modalità di fuga che condizionano la mente, e voleva discuterne e andare a fondo della questione.


«Pensi che lavorare nel sociale possa essere condizionante? E che questo condizionamento potrebbe portare a ulteriori conflitti?»
Innanzitutto, dobbiamo chiarire cosa intendiamo per condizionamento. Quando siamo consapevoli di essere condizionati? O piuttosto, ce ne rendiamo mai conto? Siete consapevoli del vostro condizionamento, o semplicemente consci delle lotte e dei conflitti ai vari livelli del vostro essere? Penso che non siamo consapevoli del nostro condizionamento, ma solo dei conflitti, del dolore e del piacere.
«Cosa intendi per conflitti?»
Tutti i tipi di conflitto: fra le nazioni, fra diversi gruppi sociali, fra individui, e nel rapporto con noi stessi. Il conflitto non è forse inevitabile fino a che non si riesce a realizzare una integrazione fra chi agisce e l’azione, fra sfida e risposta? Il nostro problema è il conflitto, giusto? Non un conflitto particolare, ma qualsiasi tipo di conflitto: la lotta fra diverse idee, credenze, ideologie; la lotta fra opposti. Se non ci fosse alcun conflitto non ci sarebbe alcun problema.
«Stai quindi dicendo che dovremmo cercare di perseguire una vita solitaria e dedita alla meditazione?»
La meditazione è difficile e impegnativa, è una delle dimensioni più ardue da comprendere. La vita solitaria e isolata non è una risposta ai nostri problemi, anche se consciamente o inconsciamente siamo liberi di cercarla e perseguirla ognuno con le proprie modalità di percorso; al contrario, spesso determina un aumento dei nostri problemi. Stiamo invece cercando di capire quali siano i fattori di condizionamento che possono portare a ulteriori conflitti: noi siamo consapevoli solamente del conflitto, del dolore e del piacere, e non siamo invece consapevoli del nostro condizionamento. Cosa lo crea e lo determina?
«Le influenze sociali e dell’ambiente: il contesto sociale in cui siamo nati, l’ambiente culturale nel quale siamo cresciuti, le pressioni politiche ed economiche e così via.»
Questo, quindi; ma è davvero tutto? Tali influenze determinano veramente il nostro prodotto, o non sono sufficienti? La società è il risultato della relazione che si crea e intercorre fra gli uomini, il che è abbastanza ovvio. È una relazione di utilizzo, di bisogno, di conforto, di gratificazione, e crea di conseguenza influenze e valori che ci legano gli uni agli altri: e il legame è ciò che ci condiziona. Siamo legati dai nostri stessi pensieri e azioni; ma non siamo consapevoli di questo legame, lo siamo solamente del conflitto, del dolore e del piacere. Sembra che non si riesca ad andare oltre; e se anche tentiamo di farlo, è solo per addentrarci in un ulteriore conflitto. Non siamo consapevoli del nostro condizionamento; e fino a che non lo saremo, riusciremo solo a creare ulteriore conflitto e confusione.
«Come si può riuscire a essere consapevoli del proprio condizionamento?»
È possibile solo attraverso la comprensione di un altro processo, il processo dell’attaccamento. Se riuscissimo a comprendere come mai proviamo attaccamento, allora forse diventeremmo consapevoli del nostro condizionamento.
«Ma non è un percorso un po’ tortuoso per arrivare a una questione diretta?»
b2ap3_thumbnail_482770_438536572883146_1659146930_n.jpgDavvero lo è? Cercate di diventare consapevoli del vostro condizionamento: si può riconoscere solo in maniera indiretta, in relazione con qualcos’altro. Non potete essere consapevoli del vostro condizionamento in modo astratto, altrimenti diventa un puro gioco verbale, senza molto significato. Siamo solo consapevoli del conflitto: esiste quando non c’è integrazione tra sfida e risposta ed è il risultato del nostro condizionamento.
Il condizionamento è attaccamento: al lavoro, alla tradizione, alla proprietà, alle persone, alle idee. Se non ci fosse attaccamento, ci sarebbe condizionamento? Naturalmente no. Allora perché proviamo attaccamento? Provo attaccamento per il mio paese perché attraverso l’identificazione con la mia patria acquisisco una mia dimensione, una mia identità. Quindi mi identifico con il mio lavoro, e il lavoro diventa importante. Io divento la mia famiglia, la mia proprietà: provo un grande attaccamento per esse. L’oggetto dell’attaccamento mi offre l’opportunità di fuggire dal mio vuoto interiore. L’attaccamento è una via di fuga, una fuga che va a rafforzare il condizionamento. Se provo attaccamento per te, è perché tu rappresenti un mezzo per sfuggire me stesso; quindi sei estremamente importante per me, perciò ti devo possedere, e mi devo aggrappare a te. Tu diventi il fattore condizionante, e la fuga è il condizionamento. Se fossimo consapevoli delle nostre vie di fuga, potremmo vedere più chiaramente i fattori e le influenze che creano il condizionamento.
«Sto quindi fuggendo da me stesso usando il lavoro nel sociale?»
Sei attaccato o eccessivamente legato al tuo lavoro? Ti sentiresti perduto, vuoto, annoiato, se non svolgessi il tuo lavoro nel sociale?
«Sono sicuro di sì.»
L’attaccamento al tuo lavoro è la tua via di fuga. Esistono vie di fuga a ogni livello della nostra esistenza. Tu fuggi da te stesso attraverso il tuo lavoro, altri dedicandosi al bere, altri ancora per mezzo di cerimonie religiose; e c’è chi fugge con la conoscenza, con la ricerca di Dio, e chi è dipendente e drogato dal divertimento. Tutte le fughe si equivalgono, non esiste una fuga superiore o inferiore. Dio e l’alcol sono sullo stesso piano nel momento in cui rappresentano una fuga da ciò che noi veramente siamo: solo quando riusciremo a essere finalmente consapevoli delle nostre fughe potremo riconoscere il nostro condizionamento.
«Cosa potrei fare se smettessi di fuggire usando il mio lavoro nel sociale? A questo punto, sono ancora in grado di fare una qualsiasi cosa senza che sia un altro tentativo di fuggire? Non è che ogni mia azione sia in fondo null’altro che una forma di fuga da ciò che sono?»
Si tratta di una questione puramente verbale, o riflette un tuo momento attuale, un’esperienza reale che stai attraversando? Se tu non scappassi, cosa accadrebbe? Hai mai provato?
«Ciò che dici è davvero pessimistico, se così posso dire. Tu non offri alcuna alternativa all’impegno nel lavoro.»
Ma qualsiasi sostituzione non rappresenta forse null’altro se non l’ennesima via di fuga? Quando una certa forma di attività non è sufficientemente soddisfacente o porta con sé ulteriori conflitti, ci rivolgiamo a un’altra. Continuare a sostituire un’attività con un’altra senza comprendere il meccanismo sotteso della fuga è abbastanza sciocco e superficiale, non credi? Sono infatti proprio queste fughe e il nostro attaccamento a esse che creano il condizionamento, che porta con sé problemi, conflitti e ci impedisce di comprendere la sfida: b2ap3_thumbnail_77439_original.jpgsiccome siamo condizionati, la nostra reazione non potrà che generare altro conflitto.
«Allora come possiamo liberarci dal condizionamento?»
Solamente con la comprensione, e la consapevolezza delle nostre fughe.

Il nostro attaccamento a una persona, al lavoro, a un’ideologia rappresenta il fattore condizionante: questo è ciò che dobbiamo comprendere, e non cercare una via di fuga che ci appare migliore o più facile e attraente. Nessuna via di fuga è intelligente, poiché porta inevitabilmente al conflitto. Coltivare la capacità di distaccarsi è un’altra forma di fuga, di isolamento: è l’attaccamento a un’astrazione, a un ideale chiamato distacco. L’ideale è fittizio, centrato sull’io, e nel suo divenire esso è una fuga da ciò che è: solo quando la mente non starà più cercando una qualsiasi via di fuga, solo allora ci sarà la comprensione di ciò che è, e un’adeguata azione verso ciò che è. Lo stesso pensiero su ciò che è rappresenta una fuga da ciò che è. Concentrarsi sul problema è già una fuga dal problema: poiché il pensare stesso è il problema, il solo problema. La mente, insoddisfatta della sua natura e spaventata dalla sua essenza, cerca continue scappatoie: e la via di fuga è il pensiero. Fino a che ci sarà il pensiero, esisteranno vie di fuga, attaccamenti, che non potranno fare altro che rafforzare il condizionamento.
La libertà dal condizionamento è una conseguenza della libertà dal processo del pensare. Solo quando la mente si troverà in uno stato di assoluto silenzio ci sarà quella libertà attraverso cui il reale potrà finalmente essere e rivelarsi.

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